Mentre stiamo tornando ad una pseudonormalità, o almeno presunta tale, pensiamo che sia necessario cercare di porre dei punti fermi di analisi di questo anomalo e extra ordinario periodo. Per evitare che il ritmo frenetico di una società che prova a ripartire economicamente vada a fagocitare e ad intoccare la memoria di ciò che è stato e quei punti di analisi necessari per pensare a percorsi diversi.
Niente è certo in queste situazioni e tutto necessità di discussione, di ponderazioni, di assegnazione dei giusti pesi quando si vanno a confrontare esigenze diverse e probabilmente in antitesi.
Perché nessun percorso è lineare, tutto sembra implicare dei trade off nelle scelte da compiere, e sicuramente l’economia è la materia che più pone degli interrogativi su cosa sia giusto sacrificare. Diritti umani, diritti del lavoro, ambiente, salute sono tutti ambiti in cui storicamente si sono avute numerose dimostrazioni in cui l’interesse economico è stato valutato, più o meno consapevolmente, più importante della loro tutela.
Ad una più approfondita analisi, risulta spesso però che questi trade off appaiono tali solo ad una prima veloce valutazione basata sul breve termine.
Solo per rifarsi alla crisi attuale, inizia ad essere di opinione abbastanza comune nel mondo scientifico la correlazione, tra il degrado ambientale e la maggior incidenza del virus, dimostrando conseguentemente una correlazione positiva (e non più negativa, come comunemente si ritiene) tra ambiente e economia.
Alcune pubblicazioni uscite su riviste scientifiche iniziano ad osservare tali correlazioni da differenti angolazioni. Uno studio di Y.Ogen (https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0048969720321215), Università Martin Lutero di Halle-Wittenberg, prende in analisi 66 regioni in Francia, Germania, Italia, Spagna, e mettendo in connessione i livelli di NO2 con le morti da Coronavirus, osserva una diretta correlazione tra i due valori, tanto che il 78% delle morti registrate in queste aree coincidono con le aree più inquinate.
Allo stesso modo, ricercatori italiani, in uno studio preliminare che deve essere ancora sottoposto a peer-review ma riconosciuto da molti accademici avere dato una direzione importante alla ricerca (https://www.simaonlus.it/wpsima/wp-content/uploads/2020/03/COVID19_Position-Paper_Relazione-circa-l%E2%80%99effetto-dell%E2%80%99inquinamento-da-particolato-atmosferico-e-la-diffusione-di-virus-nella-popolazione.pdf), evidenziano come le particelle di particolato rappresentino un ottimo vettore per il coronavirus, avendone riscontrata la presenza su tali particelle, e ipotizzando quindi che aree con maggior presenza di particolato siano sottoposte ad una circolazione aerea del Covid maggiore.
Saremo molto attenti a valutare quanto queste evoluzioni della ricerca, che crediamo, vedendo le recenti evoluzioni in ambiti come quello statunitense, andranno a esplorare anche altri ambiti in cui l’inquinamento si esprime, come ad esempio l’inquinamento alimentare.
Essendo oramai assodato che il Covid-19, insieme ad un fattore di rischio immutabile come quello anagrafico, è amplificato nei suoi negativi effetti laddove sussistono condizioni di patologie compresenti, tra cui maggiormente quelle definite come croniche (diabete, problemi cardiovascolari, ipertensione, etc.), risulterebbe abbastanza logico pensare che l’inquinamento alimentare (cibi saturi di grassi, zuccheri, iperraffinati, etc.) rappresenti un fattore di rischio molto importante che ha contribuito in misura importante all’espandersi della epidemia e all’incentivazione verso i suoi effetti più negativi per la salute.
E come oramai evidenziato da molte ricerche a carattere sociologico, economico e sanitario, esiste una forte correlazione nei paesi sviluppati tra povertà, obesità, e cattive abitudini alimentari (solo ad esempio https://diabetes.diabetesjournals.org/content/60/11/2667.full; https://jech.bmj.com/content/63/Suppl_2/16); ciò potrebbe essere una spiegazione (insieme ad altri fattori come la necessità di dovere continuare a lavorare in situazioni a rischio o la maggior difficoltà ad accedere a trattamenti sanitari adeguati) del perché in certe aree sottoposte a maggior sperequazione socio-economica il Covid-19 risulti essere maggiormente letale per le popolazioni a basso reddito.
Da queste poche evidenze, capiamo che il Covid-19 stia lanciando una sfida molto più profonda di quella meramente sanitaria, per quanto fondamentale e complicata. È una sfida ambientale, di continuare (iniziare?) un percorso di conversione realmente verde e sostenibile, ma allo stesso è una sfida sociale, economica, è una sfida a volere affrontare direttamente la grande ingiustizia di una sperequazione sociale che, paradossalmente, è andata a crescere costantemente negli ultimi decenni.
Jonas Muraro 5-6-2020