L’emergenza Covid ha reso oramai scenario comune la vista
delle mascherine facciali, quella vista che fino al 2019 pensavamo fosse solo appannaggio
degli ambienti medici o delle grandi megalopoli iper densamente trafficate dell’estremo
oriente.
Non è nostro intento discutere sulla utilità delle
mascherine, sulla quale, non essendo una associazione che si occupa di ambiente
e sostenibilità e non di epidemiologia e di malattie infettive, facciamo riferimento
alle istituzioni medico scientifiche nazionali e internazionali, della quale prendiamo quindi atto e ne confermiamo la loro assoluta valenza come mezzo di
contenimento della epidemia attualmente in atto.
Quello su cui ci sentiamo di poter esprimere la nostra voce
è però la necessaria valutazione di un uso di tali dispositivi di prevenzione
medicale.
Infatti, in assenza di statistiche ufficiali precise, sicuramente
è percezione comune che la tipologia di mascherina maggiormente diffusa è la
cosiddetta “mascherina chirurgica”, ossia quella mascherina usa e getta di colore azzurro.
Volendo immaginare
un tempo medio di utilizzo di 3 giorni (comunque ben superiore alle tempistiche
consigliate, che vedono in poche ore il tempo massimo di utilizzo di tale presidio
medicale), alla luce delle nuove disposizioni governative che vedono l’utilizzo
della mascherina pressoché costante durante la giornata per la popolazione
italiana di età superiore ai 6 anni, e considerando che la popolazione italiana
di età superiore ai 6 anni ammonta a circa 57.000.000 (Istat, 2020), nel fare
un calcolo semplicistico ma probabilmente non troppo lontano dal reale, abbiamo,
volendo stimare per difetto, almeno 60.000.000 di mascherine dismesse da dover gestire
a settimana.
Ricordiamo brevemente
che i materiali principi delle oramai consuete mascherine usa e getta sono fibre
plastiche (polipropilene ed altre), utilizzate in un range che va mediamente
dai 5 ai 12 g per mascherina. Il che, considerata la stima estremamente a
ribasso di 60.000.000 di mascherine settimanali, ci porta alla questione di
dover smaltire 480 tonnellate di materiale plastico settimanalmente, ossia in
previsione circa 20.000 tonnellate per il 2020.
Nonostante il grido
d’allarme delle maggiori associazioni ambientaliste espressi in questi mesi, risulta
difficile riuscire a coniugare l’emergenza sanitaria, che necessità chiaramente
una capacità di risposta a breve termine, con la visione di una prevenzione del
danno ambientale, inevitabilmente legata a cicli temporali più lunghi.
Analizzando la
situazione italiana, seppur a livello governativo sia stata data, con il DPCM
del 26 aprile, la possibilità di utilizzare anche le cosiddette mascherine di
comunità, ossia mascherine, anche auto prodotte, atte a “fornire un’adeguata barriera e, al contempo, che
garantiscano comfort e respirabilità, forma e aderenza adeguate che permettano
di coprire dal mento al di sopra del naso”, rappresentando già questa soluzione
un’efficace risposta al necessario equilibrio tra prevenzione sanitaria e
equilibrio ambientale, è importante sottolineare che negli ultimi mesi sono
sempre più le mascherine lavabili e riutilizzabili che hanno ottenuto lo status
di presidio medico da parte del Ministero della Salute, ai sensi del D.Lgs.
46/1997.
In allegato è
disponibile l’elenco delle autorizzazioni rilasciate dal Ministero della Salute,
sul quale si possono velocemente individuare le mascherine lavabili reperibili
sul mercato.
Con l’augurio che questa
epidemia vada presto a scemare, ma anche che la si sappia affrontare con un
occhio sempre aperto sulla grande emergenza ambientale che caratterizza il nostro
secolo.
Jonas Muraro 12-10-2020